C'era una volta, tanto e tanto
tempo fa, nella ricca città di Torrelunga, un re con un unico figlio, di
nome Vincenzo, che era tutta la sua speranza. Non vedeva l'ora che si
sposasse per dare un erede al trono, ma il principe era un tipo così
solitario e selvaggio, che quando il re suo padre gli diceva di sposarsi
scuoteva la testa, e se ne andava a caccia per una settimana. Accorgendosi di diventare vecchio, il povero re tentò in tutti i modi di
convincere suo figlio a cambiare idea, ma Francesco non si lasciò
commuovere né dal suo dolore, né dai consiglieri che gli spiegavano la
necessità di assicurare un erede al trono, né dalle preghiere dei suoi
sudditi. Ma un giorno, quando ormai il vecchio re aveva perso tutte le speranze,
accadde che, mentre erano riuniti intorno alla tavola, il principe
pensava alle cornacchie nere che passavano in cielo e tagliava a metà
una ricotta: si tagliò un dito e due gocce di sangue, cadendo sulla
ricotta, fecero un abbinamento di colori così bello e pieno di grazia
che se ne innamorò. Decise di trovarsi una sposa bianca e rossa come
quella ricotta colorata dal suo sangue, e disse al re: "Padre mio, se non riesco a trovare una fanciulla così per farne la mia
regina, morirò di dolore. Per nessuna mi è mai battuto il cuore, e ora
lo sento correre per il desiderio di una bellezza che abbia il colore
del mio sangue. Fammi partire, la cercherò fino ai confini del mondo, e
quando l'avrò trovata ritornerò". Il vecchio re si sentì mancare il fiato, e con un fil di voce gli disse: "Figlio mio adorato, speranza della mia vita, che pazzia è questa? Non
hai voluto sposarti per darmi un erede al trono, e ora per sposarti vuoi
vedermi morire di dolore? Non abbandonarmi, non lasciare la tua casa,
lascia questa pazzia, rimani in questo reame che senza di te andrà in
malora!".
Ma era come se parlasse al vento, e quando vide che non c'era modo di
farlo rinunciare al suo desiderio, il re gli diede una borsa di monete
d'oro, qualche servitore, e la sua benedizione. Da un balconcino del suo
palazzo il re guardò Francesco che si allontanava, lo salutò finché
riuscì a vederlo col canocchiale, e poi si mise a piangere a vite
tagliata. Il principe Francesco cavalcava e trottava per boschi e per
campagne, per colline e per vallate, attraversava pianure e saliva su
alte montagne, vedeva paesi e città e conosceva gente diversa, tenendo
gli occhi ben aperti per trovare la fanciulla dalla pelle bianca come la
ricotta e rossa come il suo sangue, ma inutilmente. Dopo alcuni mesi di
viaggio, arrivò a una lontanissima città di mare, dove si fermarono i
suoi servitori, perché si sentivano male, mentre il principe si imbarcò
su un naviglio genovese, e navigò per tanto tempo. Viaggiò per i mari e
per gli oceani, cercando in tutti i reami, le regioni e le province,
guardando in ogni piazza, in ogni palazzo, in ogni villa, in ogni
casupola, la fanciulla di cui portava sempre l'immagine nel cuore. E tanto navigò e viaggiò che arrivò finalmente all'Isola delle Orche,
dove, appena la nave gettò l'ancora, il principe Francesco scese a terra
e incontrò una vecchia, secca secca e brutta brutta. Il principe, dopo averla salutata gentilmente, le spiegò dopo quale
lunghissima avventura era arrivato all'isola, e la vecchia rimase
incantata, sentendo come si era innamorato perdutamente di una fanciulla
che non aveva mai visto, ed era andato a cercarla per tutte le terre e
per tutti i mari, affrontando tanti rischi e tante fatiche. Allora disse a Francesco: "Figlio mio, fila via, scappa, perché se dai
nell'occhio a tre figli miei, che sono golosi di carne umana, la tua
vita non varrà un soldo: tutta la tua avventura avrà fine nella loro
pancia, dopo che ti avranno arrostito! ma se ti metti a correre come una
lepre, senza metter tempo in mezzo, un po' più in là troverai la tua
fortuna". Rabbrividendo dalla paura il principe Francesco seguì il consiglio della
vecchia, e corse senza fermarsi finché non arrivò in un altro paese,
dove trovò una vecchia ancora più vecchia della prima. Appena le ebbe
raccontato la sua storia per filo e per segno, la seconda vecchia gli
disse: "Scappa a gambe
levate, se non vuoi diventare lo spuntino dei miei figli orchetti, ma
corri, perché la tua situazione è proprio nera, e un po' più in là
troverai la tua fortuna". Il povero principe si mise a correre come se avesse il diavolo alle
spalle, e dopo un po' di tempo arrivò da un'altra vecchia, che stava a
sedere su una ruota con un paniere infilato nel braccio, pieno di
pastine e confetti. Dava da mangiare queste leccornie a un branco di
asini, che poi saltavano in riva a un fiume e tiravano calci a dei
poveri cigni. Francesco, dopo aver cortesemente salutato e riverito la vecchia con
tanti inchini, le raccontò la storia del suo lungo viaggio, e la terza
vecchia, consolandolo con buone parole, gli diede una squisita
colazione, e Francesco si leccò anche le dita. Quando si alzò da tavola,
la vecchia gli diede tre cedri che parevano appena colti dall'albero, e
gli diede anche un coltello, dicendo: "Puoi tornare nel tuo reame, perché ormai la tua ricerca è finita: hai
quello che cercavi. Va', e quando sarai vicino a Fiumefreddo fermati
alla prima fonte che trovi e taglia un cedro, ne verrà fuori una fata
che ti dirà: 'Dammi da bere!'. Dovrai essere sveltissimo con l'acqua,
sennò la fata scomparirà come l'argento vivo. Se non sarai abbastanza
svelto la prima volta, aprirai un altro cedro, e se non ce la farai
nemmeno con la seconda fata prova con l'ultimo cedro, ma bada di essere
prontissimo con la fanciulla perché non ti sfugga fra le dita: solo se
riuscirai a dissetarla in tempo avrai la sposa del tuo cuore". Il principe tutto contento baciò cento volte la mano grinzosa e pelosa
della vecchia, e dopo averla salutata lasciò l'Isola delle Orche, navigò
per l'oceano e per il mare e finalmente approdò a un porto che era
distante un giorno di cammino dal reame di Torrelunga. A un certo punto si trovò in un
bellissimo boschetto, dove gli alberi erano così fitti che tenevano
sempre all'ombra i prati e trovò una fonte dalle acque così fresche che
invitavano a bere: si fermò, prese in mano il coltello e cominciò a
tagliare il primo cedro. In un batter d'occhio apparve una fanciulla bellissima, bianca come la ricotta e rossa come il sangue, che disse: "Dammi da bere!". Francesco rimase a bocca aperta, incantato dalla bellezza della fata,
non fu tanto svelto a darle l'acqua, e quasi nello stesso istante in cui
era apparsa la fanciulla scomparve. Il principe si sentì come se lo
avessero bastonato: come sa chi, dopo aver tanto desiderato e cercato
una cosa, la perde proprio quando la sfiora con le dita. Tagliando il secondo cedro gli successe la stessa cosa, e sentì lo
stesso colpo. Mentre dai suoi occhi sgorgavano tante lacrime che anche
lui pareva una fontana, diceva: "Accidenti a me, sono proprio un
disgraziato! due volte me la sono fatta scappare, due volte, come se
fossi senza mani! dovrei correre come una lepre, e invece sono più lento
di una lumaca! se non mi sveglio perdo tutto, dopo l'uno e dopo il due
c'è solo il tre, e se con questo coltello non avrò la mia fanciulla, mi
pianterò la lama nel cuore". Tagliò il terzo cedro e uscì la terza fata, dicendo come le altre due:
"Dammi da bere!", ma questa volta Francesco nello stesso istante le
diede l'acqua.
Finalmente gli rimase accanto una fanciulla dalla pelle morbidissima e
bianca come la ricotta, con le guance rosse come il sangue, di una
bellezza mai vista al mondo, con i capelli d'oro fino, così affascinante
che incantava chiunque la guardasse. Il principe non capiva com'era
potuto succedere, e guardava al colmo della meraviglia quell'incanto
venuto dal taglio del cedro, non sapendo se sognava o era desto,
domandandosi come avesse fatto a uscire dal frutto asprigno una cosa più
dolce del miele, come fosse venuta fuori da un frutto tanto piccolo una
fanciulla così grande e ben formata. Alla fine, realizzando che non era solo un sogno, perché la fanciulla
del suo desiderio era viva e vera accanto a lui, la abbracciò a lungo e
la coprì di baci. Dopo mille tenerezze, il principe le disse: "Non voglio, anima mia, portarti dal re mio padre senza le vesti
preziose che sono adatte alla tua bellezza e senza il corteo degno di
una regina. Perciò, sali su questo albero di cedro dove i rami sembrano
un nido pronto per te, e aspetta comodamente il mio ritorno. Io correrò
al palazzo di mio padre come se avessi le ali ai piedi, e sarò presto di
ritorno per condurti al palazzo reale, vestita, ornata e scortata come
si conviene". Poi la salutò e partì.
Proprio
allora venne alla fonte una schiava brutta e nera con una brocca:
mentre la riempiva, guardando nell'acqua, vide riflesso il bellissimo
viso della fata, e credendo che quell'immagine fosse la sua si rimirò e
disse: "Cosa vedono i miei occhi! Sono così bella e devo affaticarmi a riempire
la brocca? ma neanche per sogno!". Presa dalla collera scaraventò sui
sassi la brocca che andò in frantumi, e andò a casa. Alla sua padrona disse: "La brocca si è rotta sui sassi!". Il giorno dopo la schiava nera fu mandata ad attingere acqua con un barilotto, e appena si chinò sull'acqua rivide il bel viso. Sospirò e disse: "Una fanciulla bella come sono io non deve certo
stancarsi a portare un barilotto d'acqua!", poi sfasciò il recipiente e
tornò a casa brontolando. Quando disse: "Un asino per via mi ha rotto il barilotto", la padrona
andò in collera, prese una scopa e la riempì di botte. Il giorno dopo le
diede un otre e la rimandò alla fonte, dicendole che se questa volta
non fosse tornata con l'acqua l'avrebbe sistemata. Ma, arrivata alla fonte, la schiava rivide la bellissima immagine
riflessa nell'acqua, e gridò: "La mia bellezza non ha rivali! Dovrei
sposare un principe, non stare qui a faticare per una padrona che mi
maltratta: ora ci penso io". Si levò uno spillone dai capelli e tutta inviperita cominciò a bucare
l'otre di qua e là, tanto che l'acqua zampillava da tutte le parti. Sul cedro la fata si era divertita vedendo cosa succedeva, e a quel
punto non riuscì a trattenere una risata. La schiava allora guardò in
su, vide la fanciulla tra i rami, e finalmente capì di chi era il bel
viso che si specchiava nella fontana. Disse tra sé e sé: "Per colpa di quella ho rotto una brocca, una
barilotto, un otre, ho preso le bastonate, e ora mi prende anche in
giro", poi le chiese: "Che ci fai lassù bella fanciulla?". La fata, che era gentile quanto bella, le raccontò tutta la sua storia, e
le spiegò che da un momento all'altro sarebbe tornato il principe per
condurla a palazzo con vesti sontuose e un corteo regale. La serva pensò che poteva fare la sua fortuna, e le disse: "Mentre
aspetti il tuo sposo, fammi salire sull'albero con te, ti pettino ben
bene e ti faccio diventare ancora più bella!". Dopo averle detto: "Che tu sia la benvenuta, amica mia!", la fata porse
la sua manina bianca e morbida alla schiava, che la agguantò con la mano
secca e nera e si tirò su. Ma mentre le accarezzava i capelli, le piantò lo spillone nel capo, e la fata, sentendosi trafiggere, gridò:
"Colomba, colomba!", e trasformatasi in una colombina bianca prese il volo. Allora la schiava nera si levò i suoi brutti vestiti, li scaraventò lontano, e si accoccolò fra i rami ad aspettare.



"Colomba, colomba!", e trasformatasi in una colombina bianca prese il volo. Allora la schiava nera si levò i suoi brutti vestiti, li scaraventò lontano, e si accoccolò fra i rami ad aspettare.

Cuoco che cuoci da mane a sera,
cosa fa il re con la donna nera?
cosa fa il re con la donna nera?
Dapprima il cuoco non ci fece caso, ma la colombina tornò poco dopo, e quando lo fece per la terza volta, ripetendo sempre le stesse parole, il cuoco corse a tavola per raccontare di questa apparizione sorprendente. Appena sentì, la regina nera ordinò che la colomba fosse immediatamente catturata, spennata e gratinata in padella. Allora il cuoco si diede da fare, finché acchiappò la colombella, e, eseguendo l'ordine, le tirò il collo, la tuffò nell'acqua bollente per spennarla meglio, e la mise al fuoco. Buttò l'acqua e le penne nel vaso che stava su un balconcino, e dopo tre giorni spuntò un ramo di cedro che cresceva a vista d'occhio: il re affacciandosi a una finestra da quella parte vide il bell'albero che prima non c'era, e cominciò a domandare chi l'avesse piantato. Il cuoco gli raccontò tutta la meravigliosa storia della colombella, e

Dopo pochi giorni apparvero tra i rami tre cedri come quelli che gli aveva dato l'orca: il re aspettò che fossero ben maturi, li colse, si chiuse in camera sua con una grande coppa d'acqua fresca, e, con il solito coltello che portava sempre alla cintura, cominciò a tagliare. Col primo cedro e col secondo gli capitò come l'altra volta, ma la terza volta fu pronto a dare l'acqua alla fanciulla nello stesso istante in cui gliela chiedeva, e gli rimase fra le braccia la più bella, uguale all'immagine che aveva sempre nel cuore, bianca come la ricotta e rossa come il suo sangue. Era la stessa fata che aveva lasciato sull'albero, e gli raccontò tutto il male che le aveva fatto la schiava nera. Nessuno riuscirebbe a raccontare l'allegria e la soddisfazione di Francesco, che non riusciva a stare nella pelle dalla contentezza, e non avrebbe mai smesso di abbracciare e di baciare la fata rinata dal cedro. Poi le fece indossare una veste regale, le pose un prezioso diadema sui biondi capelli, la prese per mano e la portò nel salone dove erano riuniti tutti i cortigiani per festeggiare le nozze. Li chiamò uno a uno, chiedendo loro: "Ditemi, che pena dareste a chi facesse del male a questa meravigliosa creatura?". I cortigiani e tutti i nobili invitati rispondevano che se qualcuno le avesse fatto del male avrebbe meritato una corda intorno al collo, o una sassaiola mortale, o un veleno, o il rogo, o di essere messo in una botte chiodata e rotolato lungo una montagna, o di essere buttato in mare con una pietra al collo. Infine il re lo chiese alla regina nera, e lei rispose: "Meriterebbe di essere bruciata e le sue ceneri andrebbero buttate dalla cima della torre!". "Tu hai pronunciato la tua condanna", disse il re Francesco, "è proprio questa la fanciulla che hai infilzato con lo spillone, è lei la colombella che hai fatto sgozzare e gratinare! chi fa il male, il male aspetti".
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